Decodificare la struttura dei concetti nella mente

 

 

ROBERTO COLONNA

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIX – 12 febbraio 2022.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Una delle sfide più dure e affascinanti delle neuroscienze consiste nel comprendere la struttura dei concetti. Conosciamo il codice che impiega il nostro cervello per comandare i principali movimenti di un braccio, e in tal modo è stato possibile creare delle interfacce cervello/arto robotico che consentono di comandare la protesi elettronica come il segmento corporeo naturale, ma non sappiamo a quale rappresentazione neurale e mentale si possa far risalire anche il più semplice dei concetti astratti. La teoria delle basi evolutive e neurofunzionali della mente di Gerald M. Edelman, fondata sulla selezione dei gruppi neuronici, forniva una prima indicazione sulla neurobiologia delle astrazioni concettuali quando, dopo aver spiegato la formazione di categorie nel cervello in chiave topobiologica, riconducendo la base della sua memorizzazione a una “mappa neuronica”, dimostrava che la sintesi astratta di livello superiore, ossia concettuale, non è altro che una “mappa di mappe”.

Accantonando il rifiuto, non bene argomentato o pregiudiziale da parte di alcuni, della brillante dimostrazione di una tesi ragionevole e scientificamente fondata, rimane un fatto problematico: sapere che i concetti siano “mappe di mappe” non aiuta a rintracciarne la forma. Anche chi ritenga, per riflessione neuroanatomica e neurofisiologica, che si tratti di una formulazione geniale, deve ammettere che rimane troppo vaga. In altri termini, si dovrebbero conoscere i “codici delle matrici percettive” (mappe corrispondenti agli oggetti concreti) per cercare di inferire i modi in cui si siano formati questi codici di secondo livello (mappe di mappe) o di livello ancora superiore[1].

Edelman raccontava di un ricercatore che non accettava proprio l’idea che si potessero studiare scientificamente i concetti e, richiesto del perché avesse questa ferma convinzione, ebbe a rispondere: “Il concetto di ‘concetto’ è un concetto vago.”

Una possibilità – ritenuta da alcuni ricercatori di una probabilità così elevata da essere prossima alla certezza – è che i concetti non esistano in quanto oggetti discreti individuabili nell’hardware cerebrale, ma consistano di particolari tipi di interazioni dinamiche il cui codice potrà essere decifrato solo dopo aver compiuto un considerevole passo in avanti nelle conoscenze neurofisiologiche. Se questo è vero, allora vuol dire che fino a quel giorno i concetti continueranno a esistere per noi solo come ingegnosa invenzione dell’intelletto umano per poter concepire, pensare e parlare in forma astratta ed efficace della realtà che ci circonda.

Non resta, dunque, che rivolgersi alla mente – che è appunto un concetto – per cercare di comprendere se al suo interno, ossia nella dimensione psicologica, sia possibile individuare delle tracce affidabili, quali quelle di un codice, che ci guidino verso la scoperta della rappresentazione neurale dei concetti nel cervello.

Anche se nell’impostare una riflessione teorica o un discorso accademico su questo argomento, ciascuno tende a riferirsi alla definizione più generale possibile di “concetto”, quando ci si pone degli interrogativi in proposito, è inutile negarlo, la maggior parte di noi tende istintivamente a riferirsi a concetti linguistici, resi dal valore semantico delle parole, oppure astrazioni che si cerca, a volte a fatica, di far rientrare in una dimensione di senso costruita o cercata con giri di parole. La verità è che siamo abituati a pensare attraverso le parole della nostra lingua madre e, a parte l’uso di altri codici, quali quelli matematici e informatici, sono poche le occasioni in cui i processi coscienti della nostra mente non passino attraverso un’ideazione verbale.

 Per questa ragione, la via che stanno percorrendo le neuroscienze cognitive alla ricerca della “struttura informativa” alla base della rappresentazione neurale dei concetti, è cognitivo-linguistica.

Leonardo Fernandino e colleghi coordinati da Jeffrey R. Binder, per cercare di decodificare tale struttura, hanno condotto uno studio che ha ottenuto risultati significativi, tra l’altro confutando la tesi, accettata e condivisa da tempo dalla maggioranza dei ricercatori, dell’indipendenza dei concetti dall’esperienza senso-motoria.

(Fernandino L., et al. Decoding the information structure underlying the neural representation of concepts. Proceedings of the National Academy of Sciences USA 119 (6) e2108091119 Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.2108091119, 2022).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Neurology, Department of Biomedical Engineering, Department of Biophysics, Medical College of Wisconsin, Milwaukee, WI (USA).

Un aspetto fondamentale della cognizione umana si esprime attraverso l’abilità di attribuire singoli oggetti o eventi ad una classe di appartenenza, usando concetti astratti, sia a partire da input visivi analogici, come le immagini fotografiche degli oggetti o di circostanze sociali che richiamano eventi, o per stimoli codificati, quali le parole che appaiono su uno schermo. Ad esempio, le parole coltello, cane e festa sono facilmente attribuite alle categorie “posate”, “animali” e “eventi sociali”. I processi cerebrali che supportano questa abilità consentono di accedere immediatamente ad una grande quantità di informazione memorizzata concettualmente da associare ai singoli e nuovi elementi della realtà che incontriamo, orientando immediatamente il nostro comportamento, sia nell’uso appropriato dell’oggetto sia nel comportamento adeguato alla particolare circostanza. Si cerca di capire come questa informazione sia codificata nel cervello.

Operazioni mentali di questo genere sono state indagate da Fernandino e colleghi, attraverso compiti sperimentali standardizzati, studiando il cervello dei volontari durante le prove mediante risonanza magnetica funzionale (fMRI, da functional magnetic resonance imaging). In tal modo i ricercatori hanno potuto analizzare e ricostruire i pattern di attività cerebrale corrispondente a centinaia di concetti familiari e caratterizzare quantitativamente la struttura informazionale di tali pattern. La conoscenza concettuale sembra essere immagazzinata come configurazioni di attività neuronica che codifica informazione senso-motoria e affettiva circa ciascun concetto.

La natura del codice rappresentazionale sottostante la conoscenza concettuale rimane uno dei grandi problemi irrisolti della neuroscienza cognitiva. Fernandino e colleghi hanno perciò stimato l’estensione alla quale differenti sistemi rappresentazionali contribuiscono all’istanza dei concetti lessicali in aree corticali eteromodali di alto livello in precedenza associate alla cognizione semantica.

I ricercatori hanno rilevato che l’informazione semantica lessicale può essere affidabilmente decodificata da un’ampia estensione di aree corticali eteromodali nei lobi frontale, parietale e temporale. Nella maggior parte di queste aree, i ricercatori hanno trovato un sorprendente vantaggio per strutture rappresentazionali basate sull’esperienza, come nella codifica dell’informazione circa elementi sensomotori, affettivi e di altro genere nell’ambito dell’esperienza fenomenica. Al contrario, hanno riscontrato scarsissime evidenze di un’organizzazione tassonomica e di distribuzione indipendente.

Questi risultati sono stati rilevati e registrati indipendentemente per concetti relativi ad oggetti e per concetti relativi ad eventi. Quanto è emerso indica che le rappresentazioni dei concetti nella corteccia eteromodale sono basati, almeno in parte, sull’informazione derivata dall’esperienza. Tali rappresentazioni rivelano anche che, nella maggior parte delle aree eteromodali, i concetti relativi agli eventi hanno una rappresentazione maggiormente eterogenea (cioè sono più facilmente decodificabili) dei concetti relativi agli oggetti, e che altre aree, oltre i classici e tradizionali “hub semantici” contribuiscono alla cognizione semantica, particolarmente il giro cingolato posteriore e il precuneo.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Roberto Colonna

BM&L-12 febbraio 2022

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Si tenga conto che vi è anche un elemento di resistenza ad accettare l’impostazione neurobiologistica di Edelman da parte dei neuroscienziati cognitivi di estrazione neuropsicologica, che ritengono che le rappresentazioni dei concetti siano indipendenti dall’esperienza senso-motoria, seguendo una current opinion assolutamente prevalente.